Perché
star bene quando si può soffrire?
Aaaaah,
le gite primaverili… Sole, caldo, neve ben assestata, niente più
vento gelido a sferzare il volto. Tempo di notti in tenda e volte
stellate da rimirare sognanti prima di abbandonarsi al dolce
abbraccio di Morfeo. Piacere allo stato puro insomma, al limite
della lascivia.
Certo,
come contraltare la neve bisogna andarsela a cercare più in alto,
con noiosi avvicinamenti a piedi, sci sullo zaino, prima di poterli
calzare e farli scivolare sulle fidate pelli. O peggio ancora,
ricorrere ad un asettico servizio taxi, che accorcia sì l’ascesa
ma macchia di imbarazzante disonore gli animi più puri. E allora
perché non servirsi di un altro mezzo, questa volta, per avvicinarsi
al rifugio che ci ospiterà la notte prima della gita? Scartato in
extremis il tagliaerbe a motore per ovvi motivi di inquinamento la
scelta ricade sulla più tradizionale bicicletta.
Alea
iacta est. Si monteranno sci, scarponi, zaini sulle prodi due ruote
per abbandonarle solo alla partenza della teleferica, da dove si
proseguirà a piedi. In tutto solo 11km di strada ben battuta, e un
po’ di dislivello da coprire. Eh, sì, un po’… MA QUANTO?!
Dai giri di mail precedenti la partenza erano emersi i numeri più disparati. Qualcuno aveva anche sostenuto con convinzione che, per inspiegabili effetti giroscopici a cui la zona andava soggetta, la strada sarebbe stata in discesa sia all’andata che al ritorno. D’altronde, i preparativi non lasciavano spazio a valutazioni precise in merito. Priorità assoluta ad argomenti di altro genere, come la scelta del tipo di aperitivo estremo da preparare in vetta questa volta, o ad importanti temi d’attualità, tipo “ma che cazzo xe un metrosexual?!”. Per non parlare del momento del ritrovo, quando si realizza che far stare quattro bici, sci, scarponi e zaini vari, più quattro diversamente sani di mente in una macchina sola, seppur station wagon, è opera degna di una tesi di dottorato in fisica molecolare (o perlomeno degli schemi finali di tetris).
Dai giri di mail precedenti la partenza erano emersi i numeri più disparati. Qualcuno aveva anche sostenuto con convinzione che, per inspiegabili effetti giroscopici a cui la zona andava soggetta, la strada sarebbe stata in discesa sia all’andata che al ritorno. D’altronde, i preparativi non lasciavano spazio a valutazioni precise in merito. Priorità assoluta ad argomenti di altro genere, come la scelta del tipo di aperitivo estremo da preparare in vetta questa volta, o ad importanti temi d’attualità, tipo “ma che cazzo xe un metrosexual?!”. Per non parlare del momento del ritrovo, quando si realizza che far stare quattro bici, sci, scarponi e zaini vari, più quattro diversamente sani di mente in una macchina sola, seppur station wagon, è opera degna di una tesi di dottorato in fisica molecolare (o perlomeno degli schemi finali di tetris).
È
solo durante il viaggio di andata che, carte alla mano, tutti
prendono inequivocabilmente coscienza del fatto che il rifugio è
1600m più in alto del parcheggio, di cui quasi 1000 da percorrere in
sella. Beh, dai, però, vuol dire una pendenza media del 10% circa,
che sarà mai... Le preoccupazioni si placano, o forse naufragano
nella convinzione dell’imminente calvario, e l’allegra carovana
prosegue il suo viaggio, in condizioni che farebbero pena ad un
clandestino eritreo. La macchina sembra una scultura trash
contemporanea, con ruote dappertutto, manubri che spuntano minacciosi
tra le teste, sci infilati negli spazi liberi a consolidare il tutto.
Se esplodesse una granata alla partenza del Tour de France l’effetto
ottico sarebbe più ordinato.
Finalmente
si arriva. Si svuota la macchina ed in breve il piazzale del
parcheggio assomiglia ad un bazar di Bombay. Ci si dedica a
rimontaggio ed attrezzaggio dei mezzi. Vibro batte ogni record e fora
penosamente ancor prima di salire in sella. Ognuno si ingegna al
meglio per fissare i materiali, con risultati perlomeno discutibili.
I mezzi:
RomBoss:
estetica bicicletta Olympia giallo canarino, presa in prestito dal
padre a sua insaputa. Sci fissati assialmente con attacchi a livello
ginocchio, il che costringe ad un’antiergonomica pedalata a gambe
larghe. Scarponi sullo zaino e zaino in spalla, in modo da scaricare
tutto il peso sull’esiguo sellino impietosamente privo di
imbottitura.
Vibro:
tipica bicicletta da pusher magrebino, marcata “Easy time”,
offertona di fine anni ‘80 al Mercatone di Palmanova. Note
distintive, oltre alla sbiadita colorazione a bomboletta, un
campanellino con effige del coniglietto di playboy. Zaino, sci e
scarponi fissati al portapacchi con dovizia di fascette stringicavo,
con conseguente tragico arretramento del baricentro. Inevitabile
l’impennata dell’avantreno nei tratti più ripidi. Bottiglia di
Pimm’s in vetro (piena) nel portaborraccia.
Giulio:
l’antesignana delle mountain bike, ricevuta in regalo dai genitori
per il superamento dell’esame di quinta elementare. Telaio in tubi
“Innocenti”, cambio manuale (nel senso che per cambiare bisogna
fermarsi e spostare la catena a mano). Medesimi problemi di
baricentro del Reverendo.
Sigrid:
in netto contrasto con le precedenti, fiammante biammortizzata Trek,
freni a disco, 27 velocità. Niente sci, lei si ferma in rifugio a
prendere il sole. Ci assale il dubbio che anche stavolta le ragazze
ci battano in furbizia, ma per fortuna il nostro ma(so)chismo non
frena alcuna velleità. A parziale compenso mette in zaino un
ciclopico tomo da 1.200 pagine sulla storia delle religioni in India.
Ore
13.45, sole splendente a picco, si parte. Già dalle prime battute
preoccupa l’instabilità dei mezzi. Rimanere in sella sulle rampe
più ripide è impossibile, e pedalando in piedi bisogna tenere la
bici perfettamente verticale, pena il rischio di rovinose cadute
laterali.
Il
fiato si fa corto. Alla seconda rampa appare la Madonna avvolta in un
velo candido. Al primo tornante l’Arcangelo Gabriele alla guida di
uno ski-taxi, che canta a squarciagola “Vamos a la playa” dei
Righeira. Al secondo l’intera Triade: Padre, Figlio, Spirito Santo,
tutti con birra ghiacciata in mano. Terzo tornante, fontana. Non è
un miraggio, ci si rinfresca e si beve.
Si
riparte. Fa caldo, la pendenza non cala, si è costretti a scendere
spesso di sella e spingere le bici. Ci si sente come quegli artigiani
di strada del Bangladesh, con il loro risciò attrezzato a guisa di
laboratorio mobile. Solo che in Bangladesh non esistono salite,
mortacci loro.
Sigrid,
paonazza, tra sé e sé medita sulle torture più cruente che
riserverebbe ai suoi “amici”, e maledice se stessa per aver
abboccato all’ingannevole proposta di un weekend di relax in
montagna: “ma sì, un po’ di bici in una bella vallata, poi due
passi fino al rifugio, e il giorno dopo spaparanzata mentre noi
andiamo in cima…”.
Dopo
le consuete apparizioni divine, con qualche fugace sconfinamento in
religioni minori, si arriva al primo scollinamento. La vallata appare
in tutta la sua bellezza, con la piramide immacolata del Gross Geiger
sullo sfondo a far da contrasto ai verdi pascoli davanti a noi, dove
scorre gorgogliando l’Obersulzbach. Ci si spiega in un attimo
l’insensatezza delle stime sulla pendenza media del percorso. A
perdita d’occhio si snoda una lunga strada, in piano o quasi, e
quindi tutto il dislivello è raccolto nel tratto appena percorso e
nello strappo di tornanti finale, visibile in lontananza già da là.
Vabbè, ormai… tanto vale rinfrescarsi nuovamente prima di
ripartire, e magari, sciacquandosi il viso, accorgersi….. di aver
lasciato gli occhiali da sole alla precedente fontana, sei tornanti
più sotto. Bravo Giuliooooo!! Oggi il “Premio Marconeuro” non te
lo leva nessuno. Dopo svariate variopinte invocazioni agli ormai noti
numi, di cui alcune decisamente intricate e fantasiose, le
alternative sono pochette. Affrontare il ghiacciaio senza occhiali il
giorno seguente è da pazzi (vedi “Archimandri sul Venediger – il
sole sorge da est” di qualche mese prima). Giulio inforca l’unica
bici senza bagagli, noncurante del fatto che sia evidentemente
sottodimensionata per lui, e si lancia in discesa ad effettuare il
recupero. Bene, fatta anche questa, mannaggia...
Il
tratto centrale è piacevole, la valle è veramente incantevole, e
conforta un po’ prima degli strappi finali, che vengono affrontati
con dinamiche simili a poco prima e sotto lo sguardo di qualche mucca
incredula in più. Dopo il primo strappo si raggiungono CapoRom e
Reverendo, che nel frattempo si erano dilettati in boulder tra i bei
massi nei dintorni, e poi ultimo strappo fino alla teleferica.
Beh,
fine della prima parte. Si lasciano le bici, si carica la roba in
teleferica, si riparte a piedi, belli leggeri. Al primo bivio,
difronte a due indicazioni per il rifugio perfettamente uguali ma in
direzioni divergenti, si sceglie di non fare la fine dell’asino di
Buridano e di affidare alla stocastica la scelta di quale imboccare.
Che delusione, con l’euro non ci sono più né la testa né la
croce… vabbè, vince il sentiero di sinistra, ovviamente il più
impervio. Dubbi in merito? Si sale fino al guado di una cascata, che
viene letto come un chiaro segnale di morale cosmica: “Se la natura
ci fa togliere le scarpe ora, forse è giusto proseguire scalzi fino
alla meta”. E così si fa, prima su belle rocce levigate
dall’acqua, poi su tratti di sentiero un po’ più dolorosi, poi
con rapide sgambate per attraversare i piccoli nevai sul percorso.
Già, i nevai… mai camminato scalzi sulla neve? La sensazione è
bella e, per tratti brevi, rigenerante. Quando i nevai si susseguono
sempre più numerosi e lunghi diventa un’autentica tortura, provare
per credere. D’altronde, ormai, la sfida è stata lanciata, e
nessuno molla. Si corre a più non posso, scarpe al collo, tra urla
di autoincoraggiamento degne di un rituale tribale, fino ad arrivare
al Mostro Finale: un centinaio di metri, con vari punti in cui si
sprofonda fino al bacino, per vincere i quali bisogna far ricorso a
tutta la propria forza di volontà. È un misto di tuffo nei primordi
della civiltà e nelle migliori puntate di “Mai dire banzai”,
manca il commento della Gialappa’s. Ma perché tutto ciò? Boh,
ognuno ha il suo modo di sentirsi vivo…
In
breve si arriva al rifugio, un paio di giri sulla slackline
antistante e poi cena e nanna.
Il
giorno dopo la gita si svolge come da migliori tradizioni:
- Sveglia alle 4.50, partenza due ore dopo. I soliti misteriosi fenomeni di dilatazione temporale mattutina, tuttora al vaglio di esperti di relatività ristretta
- Traccia personalizzata. Dopo il rifugio bisognava scendere e stare bassi fino al pendio principale, mentre i nostri effettuano il periplo dell’avvallamento con emozionante traverso su neve dura (“ma che mai scender, noi andemo SU!”). Ripaga la silhouette di uno stambecco in cresta, che si staglia eroico ed emblematico contro il sole appena sorto
- Superamento di cordata partita un’ora prima su traccia corretta
- Rottura di bastoncino del Reverendo a 3100m, con conseguente minuzioso ed efficace intervento di carpenteria d’alta quota
- Aperitivo di vetta. Questa volta si prepara un gustoso Pimm’s e Ginger ale, con tanto di frutta fresca e cetriolo. Inutile riportare gli sguardi allibiti degli altri presenti, soprattutto quando Vibro si aggira per la vetta circondata da pareti a strapiombo sproloquiando sul suo stato di ebbrezza, tra risate e brindisi propiziatori (prepuziatori…?) dei fidi compagni.
- Discesa divertente, con innocua valanghina staccata dal RomBoss. Proprio sopra al rifugio, complice la presenza sul percorso di un lungo palo segnaneve adagiato a terra, si rievocano antiche tecniche di sciata della Groenlandia meridionale.
Il
resto è tutto in discesa, in tutti i sensi. Si mangia, si beve, si
torna giù (con le scarpe), si ritrovano le bici che finalmente si
trasformano da strumento di tortura a strumento di piacere. Non serve
pedalare, il vento accarezza la pelle, i gitanti domenicali a piedi
si superano svelti (qualcuno di loro ignaro di quanto abbia rischiato
la vita). Qualche brivido lo regala l’affidabilità dei freni,
soprattutto di alcuni, soprattutto sulle rampe più ripide. Meglio
non pensare a cosa succederebbe se cedessero e a come le ruote
continuerebbero a svolgere acritiche il loro dovere, con tutto il
peso che ci grava sopra.
In
breve si arriva alla macchina, e dopo circa un’ora di tentativi di
stivaggio (“ma come cazzo le gavevimo messe all’andata…?”) si
riparte.
Nota
di colore sul ritorno, una bella multa per eccesso di velocità prima
di Mauten, con tanto di inseguimento della Polizei. I cui
rappresentanti, dopo un’incredula occhiata all’abitacolo, pensano
che forse è ora di smetterla con la birra, e si dirigono sconsolati
ad investire i proventi dell’infrazione in succhi alla mela.
Beh,
che dire, solo un altro tipico fine settimana in stile G-Team, alla
prossima proposta brillante allora!!
anche voi podere' dir: ierimo in due...mi e la bici!
RispondiEliminaT.Gigio
Capo Rom, vedo che te se ga affretta' a pubblicare el racconto degno de un'impresa del G.team sotto la minaccia de dover far el corso de teatro con G.Forrest. e si perche' se el presidente decidi...non xe che un MEMBRO possi dir de no cosi' a cuor leggero.
RispondiEliminadai forsi sta avventura te salvera', verra' premiada la vostra ignoranza e stupidita' degne de un giovane caprone del Jof di Mezegnot
semplice il G-Team ga inventado il nuovo Triathtlon Alpino
RispondiEliminaMi istituiria el premio "Caprone Del Jof di Miezegnot!" ... per le gite meno froce!
RispondiEliminaRomBoss
Da aggiungersi al premio letterario "La scabrosa trenta"
RispondiEliminaMuloni we are getting everyday more froci. I'm very incazzado because now there is too much pussy in our gite while the babettes should remain home and clean the piatti and straze. Moreover now everybody is doing the mona and doesn't listen to our president G-Forrest. If this is the order then I gonna join a teatro class (and fuck all the pussies there...)!
RispondiEliminaLollo
I'm getting so much incazzado that I'm going in pineta and do a lot of cerci with my Harley and then making longhi with the mati of the scioconi's barachin!!!!
RispondiEliminaLollo
Hei Lollo! Now the summer G-Team's office is in the scioconi's baracchin!There are our new harem! And since now to the future the girls remain at home or in barcola BITCH! We enjoy that you come in pineta and make your fantastic cerci!
RispondiEliminaA lot of Jizzzzzzz from RomBoss
Yeah, so I gonna do longhi and cerci in the G-Team pussy-office. For the occasion I gonna do a lot of busi in the scarigo so the engine of my harley will do a lot of casin! Fuck-off guardia costiera!!!
RispondiEliminaLollo
per conto mio le bici de un vero gay team no dovessi mai esser dotade de sellino. ciononosante un applauso alle braghette stellate del mulo nella terza foto dall'alto, nenache Dario Argento gavessi mai rivado ad immaginar qualcosa de tanto terrificante :)
RispondiEliminaun'ammiratrice
Hey ammiratrice, my name is Lollo and I'm a real bobazza from borgo. Do you wanna come with me and have an aperitiv in Paluzza downtown? I gonna pick you up with my harley! Come on tell me what's your name, your way of writing is very sexy. I feel your scent of woman, maybe you are the nicest I've ever met...
RispondiEliminaLollo
ciao ammiratrice, quel mulo xe George Michael in incognita,non te vedi?
RispondiElimina