Sto per andare a dormire. Di nuovo qui alle casere di val Collina e come l'altro venerdì notte ho la stessa sensazione. Ma ora so di cosa si tratta, è la stessa che mi ha accompagnato per tutta la settimana passata. La sensazione di andare verso qual' cosa di sconosciuto.
Già domenica sera pensavo a come sarà la parte giallastra che sovrastava l'ultimo punto raggiunto il giorno prima e lungo tutta la settimana mi sono immaginato i passaggi che avremmo trovato, il diedro la cengia la placca o la fessura. Ho immaginato di percorrere per primo quei metri di roccia, ho immaginato di essere il primo ad intuire la linea di salita più semplice lungo quei muri lisci e con poche debolezze, ho immaginato di proteggermi con un micro nut in una micro fessura o di piantare un bel chiodo... ho immaginato... immaginato...sognato...
La mia mente si sforzava di trovare una soluzione ad un problema che non avevo ancora visto. Cercava di aggrapparsi a qualche appiglio costruito nella mia testa. Voleva vedermi piantare un chiodo e superare il passaggio. Cercava delle certezze dove invece di certo non c'era proprio niente.
Dove l'unica sicurezza sarebbe stata la capacità mia e del mio amico. Niente relazione, niente chiodi o magnesio ad indicare la via, solo roccia e incertezza.
Magnifico, come un' esplorazione. Ecco la sensazione dell'ignoto che mi sono portato dentro per tutta la settimana ora la sento più forte che mai. Ma so anche che domani farà bel tempo e che la prima parte della via la conosciamo. Ma il resto è ancora tutto da scrivere... speriamo.
Siamo presto all'attacco, accompagnati dall'onnipresente nuvolo che scivola lungo il vallone delle crete Monumenz e che ci nasconde a tratti l' imponenete parete delle Chianevate.
Percorso il primo tratto di via ci ritroviamo su terreno sconosciuto ed iniziamo a discutere su come proseguire, ma appena il Reverendo parte noto una stonatura nella parete soprastante, alla base di un diedro che pensavamo di percorrere, essendo l'unico punto debole della prima fascia gialla e strapiombante. Osservo meglio e voglio sbagliarmi, ma ormai le nuvole sono scivolate via ed il sole mattutino mette a nudo tutti i segreti che la roccia generalmente tiene per se. Quindi strizzo gli occhi e dopo un' attimo mi decido a lasciare che la tristezza e un po' di rabbia invadano il mio il mio cuore. Con voce piatta e seria comunico al mio compagno che vedo una sosta bella e buona con tanto di fettucciona alla base del “nostro” diedro. Silenzio.
Di colpo il piacere dell'ignoto è volato a terra e con esso anche il nostro entusiasmo. Dopo un tiro di trasferimento siamo a quella fatidica sosta che come una diga ben costruita ha bloccato il dilagare dei nostri sogni di scoperta e il desiderio di sperimentare nuove sensazioni mai provate prima su una parete. Alla fine dopo il rammarico e confidando nella capacità della sosta di arginare anche un possibile tuffo nel vuoto decidiamo di proseguire lungo due tiri stupendi quanto difficili.
Il primo ci porta, non senza fatica e con una bella dose di triler ad una meravigliosa cengia sospesa come un pulpito tra due muri dorati e lisci. Risolto il primo ci resta il secondo che ci dovrebbe portare ad un bel ripiano erboso detto belvedere. Guardandoci attorno capiamo che non sarà tanto facile proseguire oltre. Dei chiodi e dei nut spuntano dal centro della parete dove non sembra molto logico passare. Ma guarda qua, guarda la incomincio ad intuire la linea di salita, prima un muro bello compatto ma con della roccia lavorata a gocce e rughe veramente stupenda. Poi una serie di buchi svasi e come ciliegina un bel passaggio finale su svasi e tacche in placca senza piedi. Un bel ingaggio ottimo per stancare anche lo spirito e non solo le braccia. Terrazzino comodo. Il respiro prende fiato e si stabilizza. Con calma aggancio due chiodi e mi guardo attorno, adesso? Provo da una parte verso un chiodo ma con fatica torno presto sui miei passi, di la non si passa! Ma allora da dove sono saliti, tracce di ritirata non si vedono. Scruto ogni possibile scappatoia, guardo verso l'alto a destra e a sinistra, finchè a sinistra, ben a sinistra in una fessura vedo un cordino, allora il mio sguardo scende lungo la fessura e raggiunge una nicchia. Però non so ancora come io raggiungerò quella nicchia. Allora mi viene in mente un traverso prima verso il basso per poi risalire. Ma non mi sembra fattibile. Eppure è l'unica possibilità e senza pensarci troppo mi immergo di nuovo in quel stato di concentrazione e attenzione dove tutto ciò che ti circonda sparisce e devi solo pensare a non cadere. Arrampico in discesa per raggiungere due buchi dove con un mano piede, sfiorando tacchette e spalmando le suole sulla porosità eccellente della roccia, riesco non so bene come a traversare e raggiunta una prima nicchia muschiosa mi trovo a faccia a faccia con un meraviglioso chiodo. Si! Allora sono passati di qua. Oramai sono stanco, le braccia mi fanno male, e la mente inizia a dare segni di cedimento. Avviso di ciò il Reverendo che mi fa pazientemente sicura e che ormai essendo aldilà dello spigolo non mi vede più. Rinviato il chiodo mi lancio su per questa nicchietta e prendo di petto lo strapiombo, mi alzo e dal buco rovescio che trovo nella nicchia mi allungo a prendere una tacca con la mano sinistra poi incastro il piede per non venire sputato fuori dalla nicchietta, prendo una tacca con la destra, sento che il vuoto mi chiama e che le braccia sono sempre più stanche, tutto inizia a pesare in maniera insopportabile, il chiodo so che c'è anche se ben sotto di me. Guardo oltre lo strapiombo e con gli occhi cerco di scavarmi una buona presa ma tutto e sfuggevole e liscio, oramai le mani si stanno per aprire, io stringo sempre più forte finchè gli avambracci bruciano, allora grido che sto per cadere, come ultima risorsa lancio a due ciuffi d'erba che ho davanti al naso... con la disperazione non si va molto avanti e con i ciuffi in mano sento l'aria scorrermi tutto attorno e mi ritrovo qualche metro più in basso a contemplare il cordino ed il chiodo, sorrido, hanno fatto splendidamente il loro dovere. Ma non c'è tempo da perdere, dobbiamo guadagnare la cima del pilastro e allora ecco che l'arte dell'artificiale torna utile, un bel passaggio su staffe improvvisate e con fatica mi ritrovo a battere un'ottima sosta nella fessura soprastante.
Da li in poi tutto procede liscio, e lungo una via di fuga più facile guadagnamo la cresta delle Chianevate che ci regala un tramonto stupendo, sospesi sopra le nuvole.
Infine una lunga discesa nella nebbia e nel buio...Lasciandoci una profonda stanchezza e un dubbio atroce: se non fosse mai passato nessuno, come avremmo reagito di fronte alle difficoltà? Saremmo passati? Avremmo osato abbastanza su quei muri così repulsivi?O avremmo vigliaccamente VittorioVenetizzatto con delle tristi doppie?!
Un giorno saprò rispondere a queste domande, per ora mi accontento di questo piccolo assaggio di ingoto. Ignoto dentro la parete, dentro la roccia ma sopratutto dentro di noi e dentro le nostre paure; tutte da scoprire.
CapoRom