Gramatik - Day Of The So Called Glory
Gramatik - Who Got Juice
I Cinque Muri
Sarebbe ora di bere un caffè.
L’alba è iniziata e noi ci fermiamo ad Agordo. Il solito bar Centrale
con il solito barista simpatico e poi il viaggio verso casa riprende. Io un po’
più sveglio e con lo stomaco contento mi immergo nuovamente nei ricordi freschi
di nemmeno 24 ore.
Non abbiamo fretta, camminiamo svelti, ma nonostante la salita il fiatone non si fa
sentire, quindi perché rallentare? Però il vino della sera prima ci fa sudare.
Marco decide di mettersi in tenuta da vero escursionista, si sveste per rimanere
in mutande e spurgare per bene tutti i liquidi in eccesso. Mentre stiamo
per passare un torrentello che taglia il sentiero incrociamo un tipo.
Questi,dopo averci guardato per un secondo e avendo notato la corda sullo zaino
ci domanda se andiamo ad arrampicare sulla via dei tre Diedri. Noi gli
rispondiamo che andiamo a fare la Diretta dei Cinque Muri. Al che lui chinando
un po’ la testa per sbieco e osservando
Marco strabuzza un po’ gli occhi
e si contorce in una smorfia mista fra incredulità e curiosità. La
conversazione però termina lì. Riprendiamo il cammino e dopo pochi metri Marco mi confessa che lo sguardo del tipo non
gli è piaciuto per niente; come volerci anticipare cosa ci sarebbe aspettato
sulla via. “Ti credo” gli rispondo “ ma
ti sei visto?” a guardarlo non sembra
per niente un alpinista che deve affrontare un’ impegnativa lotta con l’Alpe!
Sembra più un escursionista con lo zaino pieno di salsicce e vino. Magari! Questi piaceri ci attendono
ormai all’auto, e attenderanno fino a
sera.
Dopo un' ora
arriviamo al Bivacco e osserviamo le pareti e i pinnacoli che fanno da corona a
questa valle lunga e stretta. Poi inevitabilmente il nostro sguardo si posa
sulla parete che vogliamo salire. Essa si presenta veramente fantastica! Una
successione di placconate grigie e all’apparenza lisce. Per la
precisione si riescono ad individuare quei famosi cinque muri che noi dovremo superare per arrivare in
cima. Però che banalità che mi vengono in mente, ovvio che questi cinque muri
tanto lisci non sono. Una volta credo che ne sarei stato intimorito ma non so
perché mi viene in mente che sarà un vero divertimento. Sarà la compagnia o il
vino della sera prima? Chi lo sa, meglio così. Divertendosi tutto sembra più
facile!
Scorro la parete dal
basso verso l’alto e cerco di capire se non addirittura individuare la Via. A metà vedo il muro grigio scuro quasi nero dove
dovrebbe esserci il tiro chiave ma poi salendo con lo sguardo quasi in cima
noto con piacere una grande pala grigia e compatta. Le mie idee sugli ultimi
due tiri si fanno sempre più concrete, seppur leggermente più facili del tiro
chiave ho il sospetto che ci daranno più filo da torcere. Staremo a vedere.
Fa freddo, siamo ad
ovest e noi siamo ben intirizziti ma Marco sale comodo il primo tiro, poi io mi
diverto sul secondo e Marco parte sul terzo tiro. Non un tiro particolarmente
difficile, ma a quanto vedo dalla sosta sembra poco proteggibile . Mentre Marco
scala con calma e circospezione cercando di decifrare la roccia grigia e svasa
io mi guardo le nuvolette che scorrono veloci e osservo i pinnacoli di fronte a
noi che sono già baciati dal sole, inizio a seguire il suo lento avvicinarsi.
Prendo come riferimento dei larici abbarbicati su un pulpito poco sopra al
Bivacco e aspetto che il sole li raggiunga. Quella riga che delimita l’ombra
dalla piena luce sembra immobile, ma piano piano ci si rende conto che non è
così. Il tempo scorre, sì certo scorre in maniera del tutto differente in base
a cosa facciamo e a cosa abbiamo nella testa ma alla fine scorre inesorabile
così come vedo scorrere le corde nelle mie mani, lente ma
inesorabili. Vedo il mio compagno di
cordata impegnato in una lotta intensa. Non tanto con la parete che
tecnicamente risulta semplice ma con il vuoto che lo circonda, quel vuoto che
sembra volerti risucchiare appena ti distrai un attimo. Non posso fare altro
che fare il tifo per lui, ma tanto so che non mi sta sentendo, nella sua testa
passano pensieri più intensi delle mie futili parole. Dopo un attimo di
titubanza lo vedo salire e salire e dopo circa sei metri dall’ultima protezione
lo vedo fermarsi, piazzare un nut e osservare i metri successivi infine
con decisione lo vedo alzarsi di altri cinque metri. Poi lo vedo prendere un
cordino da infilare in un chiodo o una clessidra. Bene ora le corde scorrono
più veloci e Marco scompare dalla mia vista verso l’alto, il tiro ha 55m quindi
posso tornare a guardare il fronte del sole sperando che arrivi il prima
possibile. Quello dopo è il tiro chiave, speriamo di poterlo scalare in
maglietta e sotto il sole, visto che qui sono in pile e giacchetta
antivento. Le corde sono quasi finite, mi giro e vedo che il sole ormai scalda
i larici, ha sorpassato il Bivacco e lambisce la base della parete, i raggi
scorrono a pochi metri da me, vengono deviati da uno strapiombo che sta una
quarantina di metri sopra la mia testa. Non li vedo i raggi solari ma li sento,
ne sento l’odore. L’odore del calore e della roccia riscaldata che sta
evaporando la propria umidità. Finché sento un grido. Ma non riesco a
decifrarlo, poi una delle due mezze corre attraverso il reverso e subito dopo
anche l’altra. Le corde sono praticamente finite. Sosta. Mollo la sicura e mi
preparo a raggiungere Marco ed il sole.
In breve tempo arrivo alla
sosta successiva. Se il buon Giordani dice “… il solo uso della corda
alleggerisce i movimenti di un non indifferente peso psicologico… “ figuriamoci poi con la corda dall’alto!
Trovo Marco seduto
comodamente in cengia su della morbida erbetta verde e noto che gioisce del
sole che lo sta scaldando. Appena lo raggiungo noto che mi attende con un sorrisetto divertito e uno sguardo a dir poco sornione. Poi con un cenno del capo mi indica il tiro successivo. Ci mettiamo a
ridere e facciamo un piccolo break!
Mi accingo a partire
per il tiro chiave, non faccio in tempo a fare due passi che Marco mi ferma. Lo
guardo e vedo che mi porge un cliff
dicendomi che mi potrebbe servire visto che il tiro originariamente sarebbe in
A3. Al momento rifiuto l’offerta ma poi penso che qualche grammo di ferro in
più non mi farà male. Anzi, magari mi potrebbe pure tirare fuori da eventuali
problemi. Quindi aggiungo anche il cliff
alla quantità di materiale che ho appeso all’imbrago.
Qualche secondo dopo sono io che non sento più
niente, né l’odore dei raggi solari né gli incitamenti di Marco. Ho agganciato
una bella clessidra e sono salito circa tre metri, capisco che dovrò fare un
passaggio duro e cerco di proteggermi con un friendino ma la roccia è
tanto bella quanto compatta. Allora
provo con un tricamino ma niente.
Fanculo andiamo avanti, salgo per altri due metri e raggiungo due buone
prese dalle quali posso infilare un kevlar in una clessidrina.
Ovviamente la clessidra ha già un cordoncino
marcio che decido di tagliare visto che non c’è spazio per il mio. Per
fortuna ho il coltello agganciato all’imbrago e con la mano destra taglio il cordino, poi cambio mano per farla
riposare e con la sinistra ci infilo il kevlar, lo annodo e ci passo
rinvio e corde. Bene! Si può proseguire! Proseguire sì, ma verso dove? Cerco di
capire quale direzione pendere poi parto. Traverso un paio di metri a sinistra
e salgo, buchi buoni e piccole tacche meno buone, un po’ di marcio e dopo
quattro metri trovo un chiodo, lo rinvio e traverso a destra per poi salire
puntando ad altri due bei buconi. Rinvio un’altro chiodo. Salgo ancora
leggermente a destra ed esco dal muro verticale e leggermente strapiombante per
ritrovarmi su una bella placca leggermente appoggiata e liscia, vedo la sosta a
dieci metri da me. Il run out finale penso, dopo cinque metri però
riesco a piazzare un buon tricam in un buco e arrivo in un batter
d’occhio in sosta. Super! Più facile del previsto. Aspetta però e ridendo penso che non è per niente finita, vedremo
bene sull’ultima pala grigia cosa ci
attende. Dopo un po’ vedo spuntare Marco che tutto contento si mette ad
arrampicare l’ultima placchetta e quando si trova circa quattro metri sotto di
me, aggancio il cliff sulle corde e lo lascio cadere. Appena Marco vede il cliff
fermarsi sui suoi nodi, esclamo con voce altisonante “ A mi certi artifizi no me servi!!”
Così anche questa occasione e buona per sbellicarsi dalle
risate tanto che marco fa fatica ad arrampicare quei ultimi metri.
I tiri seguenti
sono facili e lunghi ma senza nessuna
protezione in loco. Ma siamo ben attrezzati e li passiamo veloci e
divertendoci!
Ultima o penultima
sosta. Una relazione indica due tiri della stessa difficoltà e l’altra uno di
60m. Che fare? Sembrerebbe meglio unirli vista la probabile scomodità di una
sosta appesa nel bel mezzo di una placconata grigia e verticale di cinquanta
metri, che non ha niente da invidiare alla roccia della famosa Marmolada!
Staremo a vedere. Parto deciso e riesco a proteggere appena dopo un bel po’ di
metri, inizio a salire puntando ad una piccola clessidra segnata dal solito
cordino lercio. Per arrivarci però devo
seguire un labirinto formato da buchi e buchetti che o svasi o piccolini mi
fanno un po’ penare, il volo lungo è più che assicurato, quindi meglio non
sbagliare strada. Appena arrivo vicino alla clessidrina mi ritrovo a stare con
difficoltà attaccato a due buchetti piccoli e con un solo appoggio per i piedi.
In più non riesco ad infilare il kevlar e non riesco neppure a eliminare
in qualche modo il cordino vecchio. Allora lo rinvio, tanto è sempre meglio di
niente. Proseguo e faccio un passaggio che mi impegna per ritrovarmi poi ad una buona presa. Però
per proseguire sarebbe bello usare un cordino decente per quella clessidra,
quindi cerco di infilare un kevlar nella clessidrina che ormai ho quasi
sotto di me. Per fare questa operazione inizierò ad invocare pesantemente il
nostro signore. Altro non posso mettere, gli unici buchi buoni sono occupati
dalle mie dita; il resto della roccia è molto compatta o con qualche buchetto
svaso e cieco. Quindi insisto finché riesco ad infilare sto kevlar e
tiro un po’ il fiato. Non so come ma di colpo ritrovo energia e vedo che
davanti mi aspetta una sessione più tranquilla dove riuscirò anche a mettere un
bel friend. Oltre ad esso trovo anche un chiodo, lo rinvio e con un
altro passetto un po' impegnativello raggiungo una bella sosta con due chiodi.
La rinvio e poi penso che potrei proseguire, visto che come prevedevamo la
sosta è sì bella ma delle più scomode. Tuttavia penso che siccome questa è una
sosta mi sembra di avere tutto il diritto di appendermi e far riposare un po’ i
piedi che mi dolgono parecchio e quindi rilassarmi. Chiedo a Marco cosa ne
pensa di questa idea, se gli sembra eticamente corretta. Per contro e ridendo
mi risponde che per una birra può ben chiudere un occhio! Così dopo un veloce
riposino riparto col sorrisetto e dopo un’altra clessidirina passo di slancio
l’ultimo passaggio duro e mi ritrovo su terreno più facile che dopo una decina
di metri si interrompe in cresta. Finita! La corda e fortunatamente anche la
via! Ma ora bisogna trovare una sosta, alla fine batto gli ultimi tre chiodi
rimasti e faccio venir su Marco.
Che soddisfazione e
che bella via. Una sequenza di emozioni lunga più di 400 metri. Mentre Marco
sale mi gusto per filo e per segno tutta quella sequenza di sensazioni che mi
hanno portato quassù. Alla fine mi sembra quasi assurdo come una roccia alta
tre, quattrocento o mille metri possa farci tanto divertire e darci certe
soddisfazioni. Certo, agli occhi di chi non potrà mai capire, le nostre
soddisfazioni valgono meno di niente ma per noi, a volte, sono davvero la cosa
più importante. Anche questa volta sento di aver superato, anche se per un pelo
il mio limite psicologico e questo mi basta! Marco sbuca dalla parete e
interrompe i miei pensieri . Dopo le
reciproche congratulazioni dobbiamo già pensare alle calate in corda doppia. In discesa
rinforziamo le soste e sostituiamo i cordoni vecchi con quelli nuovi. Un bel
lifting per questa via che se l’è proprio meritato. Una volta a terra ci
concediamo pure una sigaretta osservando il rosso tramonto e assaporando
quell’attimo di pace e tranquillità che rimarrà scolpito nei nostri animi credo
per sempre. Infine ci mettiamo a correre giù per il sentiero e felici raggiungiamo
l’automobile che dopo un pasto frugale e veloce dovrebbe riportarci a casa ma
ormai è un po’ troppo tardi, forse è meglio chiudere qui questa giornata e
darci un meritato e necessario riposo; a Trieste si può arrivare anche
domattina.
Recuperata
l’automobile a Palmanova mi dirigo celermente alla volta del Magazzino sperando
di arrivare puntuale al solito quotidiano appuntamento lavorativo. Parcheggio
l’auto e sostituisco i comodi sandali con le solite scarpe anti-infortunistiche
sporche di pittura e malta. Un altro weekend è letteralmente volato via, ma
questa volta è durato qualche ora di sottile piacere in più.