"scritto a quattro mani: Mose-Romboss"
Ordiniamo
due aranciate, è già parecchio tempo che ne pregusto il sapore dolciastro e
lievemente amaro in fondo al palato. Sento la salivazione aumentare
esponenzialmente mentre stappo con gesto secco la bottiglietta da 500 ml, ascolto
quel tipico e leggero frizzare dell'anidride carbonica che cerca la libertà
verso il collo della bottiglia e lo percepisco pure sui polpastrelli che
stringono la stessa. Saranno le dieci di sera e siamo al banco dell’ Aljazev Dom in Val Vrata. A quest’ora c’è già il coprifuoco nei rifugi ma un non
so che di cacofonico attrae la mia attenzione, un leggero sferragliare alle mie
spalle crea un insolito disagio. Nemmeno me ne ero accorto ma al tavolino
appena dietro di noi ci sono tre personaggi, provenienti da terre più orientali
della nostra che stanno, con cura maniacale preparando il materiale per l'
indomani: rinvii, fettucce, cordini, chiodi, tricam e un numero indefinibile di nut.
La scena
mi riporta, dopo il lungo e refrigerante sorso di aranciata, alla realtà dei fatti,
a dove mi trovo e a che ore sono. Attingo di nuovo avidamente dalla
bottiglietta e mentre assaporo le bollicine correre giù per la gola chiudo gli
occhi e ripenso alla sera prima e a queste ultime dodici ore …
Sono circa
le 22.30 di sabato sera che in compagnia del Romboss attraversiamo la soglia
della cara Koca na Gozdu, luogo prescelto
per passare la notte, in vista della un po' pazza ma sopratutto non
preventivata idea di scalare la nord del Triglav l'indomani. Rimaniamo piacevolmente, anzi
molto piacevolmente sorpresi nel sapere che pernottare alla koca ci peserà solamente 6 euro a testa.
Un mese fa in quel di Chamonix era quanto dovevo sborsare per una buona birra
rossa all' Elevation...
Con la
rinnovata consapevolezza che qui nel profondo e selvaggio est si sta un sacco
meglio che altrove mi corico nel letto di angolo del sottotetto del rifugio,
eccitato e preoccupato all'idea di scalare quella che qui oltre il confine
viene comunemente e semplicemente chiamata “Stena”.
La Parete. Mille metri di dislivello per quasi 4 km di larghezza di calcare a
tratti monolitico e a lunghi(troppi) tratti di discutibile compattezza, dove si
è scritta la storia dell'alpinismo di questa parte delle Alpi, estate e inverno.
La nostra méta sarà una salita apparentemente innocua, si tratta di una via di
mille metri con difficoltà sempre comprese tra il II e IV grado ed un tiro di
V+; ci sembra un bel modo per conoscere la parete in vista di progetti più
ambiziosi e visto il meteo avverso delle ultime settimane, probabilmente le vie
più dure saranno delle gran colate d'acqua.
Stena |
E quindi come
si confà a dei veri alpinisti, eccoci qui, sulla terrazza dell' Aljiazev dom, non sicuramente all’alba
ma comunque con un'abbondante tazza di caffè fumante e una fetta di strudel
alle mele. Guardiamo la grande parete con il giusto rispetto e una discreta
dose di arroganza. Abbiamo guidato poco meno di un'ora dalla koca na Gozdu. Sono le otto del mattino
e a noi mancano ancora 500 metri di avvicinamento, 1000 di via e altri 350 per
raggiungere la cima. Più 1800 di discesa, chiaramente si, vogliamo proprio
arrivare in cima, ecco dove sta la nostra discreta dose di arroganza,
percorrere l'intera parete nord, salire in cima, goderci un buon piatto di “ricet” alla Kredarica e quindi scendere prima che faccia buio, perché la
frontale, io, non ce la porto.
Una scelta
solo apparentemente impulsiva quella di non portare la frontale, ma invece
piuttosto ponderata, Leo in realtà la porta ma io ho deciso il contrario. Ho
deciso così perché nella mia testa la giornata può andare a finire solo in due
modi, ed entrambi non prevedono l'utilizzo della frontale: il primo è il
sopracitato, fare tutto il programmato prima che calino le tenebre e il
secondo, beh, vista l'ora troppo tarda che attaccheremo la parete e i possibili temporali pomeridiani,
probabilmente ci caleremo ben prima del tramonto. Chiaramente non confido le
mie previsioni al mio compagno, se non a fine giornata...
Oltre alla
frontale decido per non portare nemmeno scarpette e magnesite.
L'avvicinamento
scivola via veloce, alle 9 stiamo già precorrendo la prima esposta cengia di
II/III della via, presto arriviamo sotto un risalto verticale, tiriamo fuori la
corda e Leo comincia a salire, dopo poche decine di metri ecco che le Giulie si
presentano nella loro veste più trasandata, al mio compagno si incastra la
corda, iniziano le sequele di bestemmie e i violenti e rabbiosi strattoni per
risolvere il problema... bastano pochi secondi però e mi ritrovo istintivamente
appiattito il più possibile alla roccia, un comodino stile Luigi XVI ha deciso
di staccarsi da uno spigolo e punta dritto verso di me. Bene, penso. Adesso mi
arriva in testa o su una spalla e fine della nostra avventura sulla “Stena”. Perfetto, realizza la mia mente
perversamente malata, - visto che alla fine la frontale non serviva? -
Invece il
comò mi evita di quel tanto che mi permette di sentire chiaro e deciso il
sapore di zolfo nelle narici, è andata, si può continuare. La corda nel mentre
si è divincolata dall'ostacolo, ormai ridotto in polvere un centinaio di metri
sotto di me. Dopo poco Leo trova la sosta successiva e inizio a scalare, accenno
un paio di movimenti ma i miei arti non rispondono agli impulsi, anzi, i miei
arti si muovono naturalmente sulla roccia, consci delle migliaia di movimenti
che hanno incamerato da qualche parte, sottopelle, negli anni di scalate. È il mio cervello che non
è collegato alle braccia e alle gambe, continuo a salire fino in sosta, ma
letteralmente non ci capisco un cazzo. Lascio continuare Leo e mentre lui scala
io cerco di capirci qualcosa, lui però arriva troppo presto a fine corda e
inizia a recuperare mentre io sono ancora intontito dall'improvviso calo di
adrenalina.
Procediamo
così per un paio di tiri intorno al IV, finalmente un passaggio appena più duro
degli altri mi riporta alla realtà, appena in tempo dato che da lì in poi per
diverse centinaia di metri procederemo in conserva corta su cenge, canaletti,
diedrini ed altre amenità che la parete ci offre, il tutto condito chiaramente
con ormai quasi metà “Stena” sotto i piedi.
Vista la
scarsissima possibilità di proteggersi potremmo anche avanzare slegati, ma un
po' per ripartire meglio i pesi e un po' perché visti gli esami di alta
montagna appena superati al corso guide, sono così fresco di corda corta, che
voglio condividere con il mio compagno questa simpatica modalità di
progressione.
In tempi
relativamente brevi ci ritroviamo a cavallo del Gorenjski turnc, un torrione appena oltre la metà della parete che
offre un ottima opportunità di bivacco. È la mezza ed ecco che i piovaschi
previsti arrivano puntuali a bagnarci un po', approfittiamo della pioggia e
delle comode grottine nei pressi del Gorenjski
per bere e mangiare qualcosa, lasciamo passare l’ acqua e poco dopo l'una
riprendiamo con la scalata.
attimi di relax al Gorenjski Turnc |
Ormai l'eventuale ritirata è una variabile che non
ci possiamo più permettere, dobbiamo arrivare in cima e farlo in fretta.
Iniziamo
la seconda parte dell’itinerario perdendo per un attimo la via, la ritroviamo
quasi subito e continuiamo veloci fino
al tiro chiave di V+, una bella fessura verticale che taglia una pancia di
calcare perfetto. Per l'occasione Leo tira fuori le scarpette, io non mi
preoccupo più di tanto, cosa sarà mai un V+ da secondo anche se con le scarpe
da avvicinamento..
Il Romboss
inizia a scalare leggero e sicuro nella fessura, piuttosto ben chiodata, mentre
scala spariamo le solite cazzate, ma dopo un leggero strapiombetto non ho più
risposte dall’ altro capo della corda, forse le cose si fanno più serie del
previsto, lentamente si svolgono quasi i 60 metri di mezza corda che abbiamo,
forse portare le scarpette non sarebbe poi stata un idea così sbagliata.
Appena la
corda entra in tensione disfo la sosta e aspetto ancore qualche secondo prima
di cominciare a scalare. Salgo pochi metri e realizzo immediatamente che sarà
una lotta, la fessura mi costringere a ficcargli dentro un piede e l'altro
rimane un po' spalmato e un po' in bilanciamento sul lato sinistro della
stessa, devo tirare fuori tutti i trucchi che conosco dell'arrampicata in
fessura per non tirare ogni protezione e per scalare seppur poco elegantemente
la fessura in libera, cerco di incastrare quasi senza alcun risultato mani e
pugni, ma non sono sul bel protogino rosso del Bianco né sul bel granito di
Cadarese, il fottuto calcare della nord del Triglav non si lascia stuprare
facilmente a suon di dita, mani, pugni e piedi, non mi resta che tirar fuori la
tecnica più vecchia e faticosa per salire verso il mio compagno.
No non
l'artificiale, la mitica Dülfer.
Più è più
volte durante il tiro maledico me stesso per non aver preso le scarpette e
ancor più volte con le mani sudate cerco inutilmente il sacchetto del magnesio.
La sosta per fortuna è comoda, su un bel praticello puntellato qua è la da
qualche fiorellino, genzianelle , stelle alpine, e il solito fiorellino
violetto che forma dei graziosi cuscinetti verdi a pois rosa/violetti, quello
per intenderci che quando trovi in parete, togli e ci trovi sotto una bella
fessurina, ideale per piazzarci un chiodino a lama. Ogni volta che ne vedo uno
mi riprometto di impararne il nome, ma puntualmente me ne dimentico. Mi disseto
e mangio ancora un po' di mango secco, quindi ci sleghiamo e partiamo per gli
ultimi 300 metri che inizialmente sono di III e via via che si sale diventano
più facili. Saliamo veloci e dopo le prime risate e pause foto, il ritmo impone
il silenzio. Chissà cosa starà pensando il Romboss…
…Chissà
cosa starà pensando il Mose, mi chiedo mentre saliamo veloci aiutandoci con le
mani su queste facili rocce cosparse di zolle d’erba e fiori. Anche scalando
sul facile si può avere il fiatone. Per la velocità certo, o forse per le sigarette?
Me ne frego e penso piuttosto che avevo bisogno di una salita di questo tipo.
Almeno ogni tanto devo sentirmi un po’ camoscio e meno scimmia. Ho bisogno di
scalare veloce e fluido su per queste rampe e paretine, superando facili
passaggi di slancio e senza fatica. Correre così lungo una parete di mille metri che sembra non
finire mai mi riempie di gioia. Non abbiamo cercato la difficoltà bensì un
viaggio, alla scoperta di questa parete. Ormai ne sono convinto, ci tornerò al
più presto. Anche perché mi rendo conto che siamo sbucati sulla cengia Kugy e il viaggio verticale è terminato.
Guardo il Mose che mi sorride. Forse sta mattina non eravamo così convinti, ma
poi giocoforza eccoci qua. Non siamo ancora sazi ne stanchi e allora dopo aver
ricompattato gli zaini ripartiamo veloci verso la vetta. Nuvole corrono veloci
su queste immense pietraie lunari. Appena iniziamo a salire la pseudo ferrata
che ci porterà in cima al Triglav le nubi si fanno dense e il vento si
rinforza. Inizia a piovigginare. Nessuna paura, peccato solo per il panorama
che ci viene nascosto. Saliamo con i pensieri racchiusi nel cappuccio della
giacca fino in cima e come per magia le nuvole si diradano e ci lasciano
contemplare tutte le alpi Giulie dalla loro cima più alta.
Vetta |
Presto però dobbiamo
riprendere il cammino, anzi la corsa. Giù veloci verso la Kredarica (Triglavski Dom)
lungo la ferrata della cresta est. Arriviamo con l’ardente desiderio di un tè
caldo e di un gustosissimo “Ricet”
(zuppa d’orzo con carne). Arrivati al rifugio ci sembra di essere arrivati
all’albergo, ops Rif. Auronzo nell’ora di punta. Solo che qui per arrivare
bisogna farsi che si voglia o no 1500m di dislivello. Ciò che ci lascia
alquanto perplessi e che dopo svariati pizzicotti possiamo dare per scontato non
sia un sogno ma è pura realtà, è proprio l’alta percentuale di rappresentati
del sesso femminile … Ahhh l’est … Ma
torniamo alla zuppa e al tè. Anzi parliamo di orari, non perché siamo in gara
ma perché ovviamente queste cose capitano sempre di domenica e io lunedì dovrei
anche lavorare. Secondo voi non ci ho pensato di passare la notte qui in questo
bel rifugio animato e ben rifornito di cibo e birra? Casualmente ho portato con
me pure un bel pezzo da cinquanta euro da devolvere alla causa.
che bon el ricet |
Niente da fare il mio fottuto senso del
dovere prevale e finita la sigaretta, cerco di distogliere lo sguardo del Mose
che si era letteralmente incollato a un sedere a dir poco spettacolare … o
forse ero io quello incollato? Beneficio del dubbio. Dobbiamo scender prima che
faccia buio anche perché abbiamo solo una frontale. Quindi via di corsa, ci
aspettano solo 1500m di discesa ripida ed esposta. Sui nevai cerchiamo di
sciare io per cause gravitazionali provo anche col culo ma meglio evitare,
voglio preservare il mio coccige. Sui ghiaioni lasciamo le gambe libere di
galoppare e sulle roccette saltelliamo come i camosci che incontriamo lungo il
sentiero. Siamo sul Prag, il sentiero più trafficato per raggiungere la Kredarica
dalla Val Vrata, ma a quest’ora la precedenza ce l’hanno le bestie. Noi o loro?
Scendiamo
saltellando insieme anche se non eguagliamo neanche lontanamente la loro
eleganza. Alla fine arriviamo in tempo sul fondo della valle, attraversiamo il
torrente con l’aiuto delle pupille dilatate al massimo e poi imbocchiamo il
tranquillo sentiero che in 15min ci riporterà all’Aljazev Dom e all’auto.
“Mose, te sa che se el rifugio xe verto mi
bevesi volentieri una bona ranciata!”
“Me par
una bona idea, sento za el gusto dolciastro e un po’ amaro sul palato!”
Mose e Romboss
P.s. tutto sto cine per una ranciata?